La prima è forse la più nota e viene quantomeno citata dai libri locali che parlano del paese di Ardenno: qualcuno ha pure pensato di dare un nome alla donna con "un fiore di corallo tra i capelli" cercandola tra le abitanti delle "scure case del borgo" dal quale il poeta ascolta l'Adda. In ogni caso il verso "la dolce collina d'Ardenno" ci sta bene sugli opuscoli turistici e viene quindi riportato, magari anche solo come citazione.
Sorte opposta è toccata invece all'altra lirica, vuoi per l'oscurità del linguaggio ermetico, vuoi per l'aria cupa che vi si respira. Versi come "Presto la rana cresce il verde: è foglia" ricordano più le sestine del trobar clus della poesia delle origini, che le chiazze di colore di altre più famose poesie di Quasimodo:"Ride la gazza, nera sugli aranci". Ma versi come "e l'allarme / è un canto di cupo dialetto" o locuzioni quali "cesure straziate", "lamento del corvo", "immutabile la noia", "freddo pietoso" non danno della Valtellina un'immagine felice da cartolina illustrata e sono quindi state censurate dai cultori di storia e di memorie locali.
Del resto Quasimodo non venne a Sondrio per scelta. Nel 1934, in qualità di geometra provvisorio presso il Genio Civile, ottenne un trasferimento a Milano, ma un capo ufficio che non amava i poeti lo confinò in Valtellina. Presso gli uffici di Piazzale Lambertenghi trascorreva il minor tempo possibile, tanto che venne tacciato di essere un impiegato inconcludente e si guadagnò pure un richiamo ufficiale. Infatti non appena poteva prendeva il treno per tornare a Milano dove trascorreva il tempo con artisti e giornalisti nei più famosi caffé della città. Sul treno, che andava e veniva, corteggiava però le maestrine e le invitava ad abbandonare lo studio di Carducci per rivolgersi a poeti più moderni.
Insomma le donne tornavano sempre nei suoi discorsi così come nelle sue poesie.
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